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Mary Poppins e le primarie

Mary Poppins è entrata a far parte, a sua insaputa, delle primarie del Pd, e Stefano Fassina può dare vita a una nuova corrente interna al partito, quelli che considerano la signora Poppins — una che sistema tutto con uno schiocco — un chiaro riferimento culturale di destra. Matteo Renzi, candidato in pectore alle primarie del centrosinistra (ora più che il regolamento del Pd sembra pesare sulla corsa l’ipotesi ventilata di un voto anticipato), la utilizza per dire che «non ha funzionato il “ghe pensi mi”», anche se suona un po’ strano che lo dica proprio l’inventore del «ghe Renzi mi», e accresce così il suo pantheon iper pop come neanche Veltroni era riuscito a fare. D’altronde è lo stesso Renzi a citare il leader come uno da rottamare, sì, ma salvando il discorso del Lingotto come un chiaro orizzonte politico-culturale. E con esso l’idea che il Pd possa parlare a un’Italia trasversale, post-ideologica. Continua a leggere

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«Il Pd non mi caccerà, decido io se andarmene»

DAL NOSTRO INVIATO
SIENA — Alberto Monaci, presidente del Consiglio regionale, le danno del traditore.
«È un’etichetta che mi vedo addosso; non ho mai ricattato né tradito nessuno. Eppoi non sono neanche un consigliere comunale».
È il «mandante» dei 7 consiglieri dissidenti di Siena?
«Ci mancherebbe anche questa. Mi pare un’accusa pesante, io non sono mandante di niente».
Il Pd dice che è il «regista».
«Regista? Già meglio. A un regista può riuscire bene o male un film… Ma mandante in italiano vuol dire una cosa precisa; nell’italiano spiccio vuol dire che assoldi un sicario o più sicari. Lungi da me. Al di là di tutto posso fare delle leticate, ma sempre alla luce del sole. Mandante sa di killeresco, malavitoso. E io non sono il mandante di niente. Quando c’è stato da rischiare qualcosa in termini politici sono sempre andato da solo, non ho mandato gli amici».
Il sindaco Franco Ceccuzzi, dimisionario, dice che lo avete ricattato. 
«Ci spiegasse bene perché. Il ricatto comunque è punito duramente dal codice penale. Prevede l’arresto…».
Ieri lei ha incontrato il governatore Enrico Rossi.
«Sì, c’era una riunione in Regione su Fidi. Doveva durare un’oretta, è durata tre. C’erano i tecnici, i capigruppo».
Ah, e avete parlato di Siena.
«Questo lo dice lei».
Manciulli dice che lei e gli altri siete fuori.
«Se sono fuori qualcuno me lo notificherà e mi dirà ufficialmente perché». Continua a leggere

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Pistoia, Pd con strappo per Bersani

DAL NOSTRO INVIATO

PISTOIA — La precisione dell’annuncio è scientifica, coincide con l’arrivo di Bersani in Toscana, oggi a Lucca e Pistoia per sostenere i candidati alle amministrative. Nella sede del partito provinciale di via Bonellina le telefonate si moltiplicano, c’è la cena con il segretario da organizzare, 20 euri per sedersi a tavola con il Pier. Un manifesto campeggia appeso al muro, vicino all’entrata: «Iscriviti al Pd, per costruire il futuro». E suona come una beffa.
Lo strascico delle primarie pistoiesi mai definitivamente chiuse trova l’epilogo più funesto: i bartoliani dell’associazione Scegliamo Pistoia hanno deciso di non rinnovare la tessera, e quindi di abbandonare il Partito Democratico. Lo strappo arriva dopo settimane di discussione interna («lista civica o no?») e l’esclusione di Roberto Bartoli, secondo arrivato alle primarie con 3.500 voti pari al 28 per cento, dall’elenco dei Democratici per il Consiglio comunale. «139 militanti lasciano il partito» scrivono sul loro sito al mattino (a tarda sera saranno 140). «Motivo della nostra decisione è il trattamento da noi subito, come minoranza interna al Pd pistoiese e come sostenitori di Roberto Bartoli», che non potrà rientrare in Consiglio. I bartoliani ce l’hanno con i due segretari, Paolo Bruni (comunale) e Marco Niccolai (provinciale), che hanno mancato «al loro ruolo di garanti e di coordinatori dell’intero partito e assolventi con programmatica continuità e crescente spudoratezza una funzione di salvaguardia unilaterale degli interessi, per lo più personali, di alcune figure di spicco della maggioranza del partito». Quali? Nel documento non c’è scritto.  Continua a leggere

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Renzi si candida alle primarie. Di Firenze

Con l’arrivo dell’epoca montiana e dei tecnici al governo, la proposta politica di Matteo Renzi ha iniziato a invecchiare precocemente. I professori della Bocconi hanno avviato un programma molto simile al manifesto con le cento idee lanciato alla Leopolda, quando Berlusconi era ancora nei suoi cenci. La caduta del Cavaliere non ha avuto ripercussioni solo sul centrodestra ma anche sul centrosinistra. Con il risultato che adesso le candidature “contro” non hanno più lo stesso impatto e significato di prima. E anche quella del sindaco di Firenze, possibile concorrente a delle possibili primarie nazionali del centrosinistra, era nata come una candidatura “contro”. Contro Bersani, D’Alema, Veltroni, insomma contro il gruppo dirigente del Pd. Da ottobre a oggi però il mondo è molto cambiato.

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Mps, l’ora dei tecnici (e di Profumo)

È finita così, è finita che in sintonia con lo spirito, ah il mitico spirito dei tempi!, anche al governo del Monte dei Paschi sono arrivati i tecnici, con Alessandro Profumo pronto a incarnare la versione montepaschina del governo del Preside. Tre prof e un ragioniere indicati dalla Fondazione per il cda (e un banchiere, l’ex amministratore di Unicredit, per la presidenza) di Mps. Niente più avvocati boccoluti calabro-senesi insomma, adesso è l’ora del genovese Profumo. Naturalmente la partitocrazia – traduci: il Pd – non ha improvvisamente deciso di mollare la presa. E non potrebbe essere diverso da così: l’intreccio politico-finanziario è connaturato al cosiddetto “sistema Siena”. I prof quindi sono sì tecnici, ma restano comunque “d’area”.

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Pd, Idv e gli stracci che volano

Mentre Bersani prova a sostituire la foto di Vasto con la foto di Parigi (si scherza eh), mentre Anna Finocchiaro, parlando di post-berlusconismo, dice sul Corriere della Sera che l’Idv di Di Pietro «vive grazie alla contrapposizione con Berlusconi e che deve tenerne vivo il fantasma per non scolorire la sua identità», mentre insomma i rapporti fra Democratici e dipietristi sono sempre più complicati, a causa anche del diverso giudizio sul governo Monti, a giro per l’Italia si cominciano a vedere i primi effetti, sia in vista delle elezioni locali di maggio sia nelle amministrazioni dove si è già votato. Alleanze e coalizioni democratico-italvaloriste si sfarinano, e i due partiti si mandano, poco serenamente e poco pacatamente, a quel paese. Quella che segue è una piccola e incompleta mappa. È di pochi giorni fa il caso di Livorno, dove il sindaco Alessandro Cosimi ha scritto una lettera al suo vicesindaco Luca Bogi, dell’Idv, per dichiarare conclusa l’avventura in Comune e invitarlo a dimettersi. Fra i motivi, l’opposizione del partito dell’ex pm alla realizzazione della discarica del Limoncino, oggi sotto sequestro. «La conflittualità – ha detto Cosimi – ha rallentato l’attività dell’amministrazione». Cosimi attende le dimissioni del vicesindaco, che ancora non sono arrivate, ma nel Pd sono convinti: l’alleanza è finita, l’Idv sarà fuori maggioranza e giunta. In Toscana non è un caso isolato.

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“La politica e la giustizia? Troppe deleghe alle toghe”

Gianni Cuperlo, deputato del Partito Democratico, è di Trieste ma è stato eletto — lui, onestamente, preciserebbe subito: nominato, causa legge elettorale — in Toscana. Interviene nel dibattito sollevato dall’ex sindaco di Firenze Leonardo Domenici.

Cercando reazioni all’intervista, ho avvertito un grande imbarazzo nel Pd. Qualche dirigente di partito ha persino detto «Silvio Domenici». Come se il tema della giustizia fosse un tabù. Il problema, forse, è dovuto al fatto che in Italia le critiche alla magistratura sono sempre venute da destra?

«È sbagliato banalizzare i contenuti di quella intervista. La verità è che il rapporto tra politica e magistratura è da sempre al centro di una riflessione che interroga entrambe le sfere. Però non possiamo nemmeno iniziare una discussione sul punto se rimuoviamo la premessa, e cioè che negli ultimi quindici anni da parte della destra è venuta una aggressione sistematica e senza precedenti nei confronti della magistratura, della sua autonomia e indipendenza. Questa isteria politica e istituzionale ha impedito nei fatti di affrontare quelle riforme che, in un clima diverso, il Parlamento avrebbe dovuto licenziare. Detto ciò nessuno può nascondere alcune criticità. In particolare c’è un punto di fondo che non risale né a oggi né a ieri ma che riguarda la rottura intervenuta a partire dagli anni Settanta quando la tragedia del terrorismo e a seguire della mafia e della corruzione investì una magistratura chiamata a colpire i singoli reati e insieme a smantellare i complessi apparati e sistemi che li alimentavano. È da allora che prende le mosse — e non sempre con risultati convincenti — una logica dell’emergenza che talvolta è sfociata in “una cultura autoritaria della giurisdizione”. Riconoscere questo limite non vuol dire smentire il tributo di sangue pagato da giudici e magistrati in questi 30 anni. Il punto casomai è chiedersi perché per un tempo tanto lungo la politica non ha saputo ricostruire, con leggi adeguate e comportamenti coerenti, una sua autonomia e responsabilità, di fatto finendo col delegare alla giustizia anche compiti che avrebbe dovuto assolvere in proprio come nel caso del controllo rigoroso sulla sua trasparenza e moralità». Continua a leggere

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Il partito dei Monti-scettici, con Saviano e De Benedetti

«A Milano! A Milano!». A sinistra c’è un nutrito partito di Monti-scettici, e stasera si ritroverà al Teatro Smeraldo. Chi pensava che in questi tempi tecnici, con la Fornero che piange, Martone che scivola sulla sfiga, Monti che distribuisce 18 ai parlamentari, insomma con i professori della Bocconi al governo e in tivvù, sfortunatamente, i soliti parlamentari che s’azzuffano (ma molto meno di prima), chi pensava che non ci fosse più spazio per le adunate come quelle anti Caimano, dovrà ricredersi. Libertà&Giustizia e tutti quelli che leggono Kant la sera prima di andare a letto sono in piena, fervente attività. E stasera, appunto, saranno a Milano insieme agli animatori di L&B, a Carlo De Benedetti, a Roberto Saviano, a Umberto Eco, a Gustavo Zagrebelsky e perfino a Giuliano Pisapia. Mondi diversi che si uniscono, accomunati da un manifesto firmato da oltre 35 mila persone: «Dipende da noi. Dissociarsi per riconciliarci». E così, mentre c’è chi nel Pd augura un Monti bis, chi lo appoggia senza se e senza ma, chi si produce in equilibrismi pur di dire che Monti è ciò che serve, a sinistra si cerca un nuovo avversario: la «tecnica».

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“Storico risultato a Grugliasco!”: uno dei comunicati stampa più belli della storia dei comunicati stampa

In attesa dei risultati ufficiali di Palermo, ecco il diario delle primarie del centrosinistra.
I candidati sostenuti dal PD hanno vinto ad Asti, a Lecce, a Monza a Piacenza, Oristano, L’Aquila, Parma, Verona, Alghero, Gorizia, Como. A Rieti ha vinto il candidato di SeL Simone Petrangeli con 53 voti di scarto sul candidato PD Simeoni. A Genova vittoria di Doria (indipendente).

Inoltre si sono svolte le primarie in importanti centri come Grugliasco, Sesto San Giovanni, Cittadella, Vigonza e Reggello, Castrovillari tutte vinte con candidati PD.

Firmato, Partito Democratico

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Genova e Palermo per te, caro Partito Democratico

Genova. Ci sono le primarie di coalizione, sei il cosiddetto primo partito del centrosinistra, ti chiami Partito Democratico, presenti il tuo sindaco uscente alla competizione ma contemporaneamente ne presenti un altro perché, evidentemente, da qualche parte c’è qualcuno che non è così convinto della scelta. Nel presentare le candidature quindi dici neanche troppo implicitamente che sul sindaco al primo mandato hai delle perplessità non da poco, lo suggerisci all’elettorato che già è abbastanza confuso di suo, figuriamoci come lo può essere se ti ci metti anche tu, cosiddetto primo partito del centrosinistra, ad aumentare la confusione. Insomma: sei tu il primo a dire che c’è bisogno di cambiamento, che dalle urne deve venire fuori un segno della tanto decantata «discontinuità», una delle paroline più in voga durante le elezioni alla fine di un ciclo politico (in questo caso esaurito precocemente). E la gente, bada bene, alla fine ti dà ascolto, non è così fessa. Va a votare, magari non in massa, ma va a votare, e ti frega perché sceglie il candidato appoggiato da Sel e don Gallo. Hai chiesto discontinuità, l’hai avuta. E alla fine ti rimane Marta Vincenzi che sbrocca su Twitter.

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